Un documentario sulla boxe da parte di due esordienti nelle zone infide del lungometraggio ha di che rallegrare ed inquietare. Rallegrare per il coraggio di andarsene a Cuba ad indagare in contrade meno rivoltate ma certo a rischio folclore come quella del nostro fazzoletto; inquietare perché il pugilato al cinema è un campo nel quale molti, a cominciare naturalmente dagli americani, hanno fatto di tutto e, spesso, di ottimo.
Fortunatamente, NOCAUT non è un documentario sulla boxe; anche se questo potrebbe non essere un problema, la scuola cubana, dilettantistica, essendo infatti la prima al mondo. L'interesse sta però nel sottofondo sociale, umano e politico che sottintende questa inchiesta approfondita e sensibile in un territorio delicato e in mutazione come quello cubano. Se si incontrano non soltanto figure mitiche legate al mondo del pugilato, ma pure Fidel Castro, l'anima del film è altrove. Come dice Mohammed Soudani, che sostiene il film con la sua fotografia notoriamente a prova di latitudini estreme, NOCAUT naviga alla larga dagli stereotipi cubani - musica, sigari e donne - ma cerca il segreto per entrare nell'intimo di una situazione altrimenti lontana, estranea e difficile. Lo trova glissando con notevole misura dalla notazione umoristica a quella sentimentale, a quella politica e sociale infine.
Una volontà intelligente di evadere dal guscio dell'osservazione scontata: che una splendida colonna sonora costruita sulle musiche di Maurizio Pini e Alessio Bertallot (un piccolo gioiello che da solo vale il biglietto) sottolinea al nostro costante piacere.